lunedì 30 novembre 2015

Rapporto OCSE 2015, una fotografia che ha bisogno di un racconto


Non si aspettavano, per quanto riguarda il nostro Paese, grandi sorprese dall’annuale rapporto OCSE sull’educazione, avvenuta martedì scorso (24-11-2015) al MIUR. Molte delle rilevazioni portate a sintesi nella scheda Paese dedicata all’Italia e nelle slide a cura di Francesco Avvisati e Gabriele Marconi potrebbero rientrare nelle classiche “scoperte dell’acqua calda”. Non è in discussione, per carità, la serietà dell’istituzione e degli studiosi che per suo conto tengono costantemente d’occhio, attraverso specifici indicatori, i sistemi d’istruzione dei 34 Paesi membri e di alcuni Paesi partner: ma la constatazione che “per molti giovani laureati non è facile trovare un lavoro”, o che “trovare lavoro è particolarmente difficile per coloro i cui genitori non sono laureati” non sono certo rivelazioni sconvolgenti, ma piuttosto e purtroppo la conferma di una realtà ben presente nel vissuto quotidiano di tanti giovani e delle loro famiglie. 
Più intrigante potrebbe presentarsi l’incrocio dei dati riguardanti l’istruzione terziaria, per la quale l’Italia spende meno della media OCSE (circa 11.000 dollari per studente contro 15.000), ma di cui lo stesso rapporto ci dice come non abbia contribuito ad alleviare le difficoltà dei giovani durante la crisi. Abbiamo risparmiato un’inutile spesa? O è anche, o proprio, il debole investimento la causa di un impatto sostanzialmente inefficace?
E veniamo al sistema d’istruzione primaria e secondaria. Anche qui un’affermazione sulla quale è impossibile eccepire, salvo forse il suggerimento di integrarla con un avverbio (“principalmente”): la qualità della scuola dipende dalla qualità e dalle competenze dei docenti. Che dipenda anche da altro dovrebbe essere altrettanto chiaro, e ricordarlo non vuol essere un modo per eludere più o meno furbescamente la verità di un assunto che resta incontestabile.
Andrebbero nel frattempo attentamente meditati, visto che la scuola dell’infanzia rischia di continuare a essere la Cenerentola del sistema, o considerata prevalentemente alla stregua di un pur importante servizio assistenziale, i dati che dimostrano come il frequentarla produca un “effetto duraturo sui risultati scolastici dei ragazzi, soprattutto stranieri”.
La presenza dominante delle donne fra i docenti (ma nel terziario il rapporto si inverte), le tuttora basse retribuzioni degli insegnanti, non solo rispetto ai colleghi di altri paesi ma anche in rapporto ai lavoratori con qualifiche comparabili, il rapporto alunni docenti inferiore alla media OCSE, completano un panorama la cui “fotografia” non si discosta molto da quelle precedenti, ma che tutti dovremmo comunque abituarci a considerare nel suo insieme, e non isolandone le singole parti. Il fatto è che molto spesso i dati OCSE non diventano, come dovrebbe essere, il punto di partenza per elaborare strategie e scelte, o per verificare percorsi già intrapresi: più frequente la tendenza a selezionare accuratamente fra di essi quelli che meglio si prestano a corroborare le proprie tesi o la bontà del proprio operato. Ecco allora la ministra Giannini e il suo entourage leggere nel rapporto 2015 un’autorevole convalida della direzione intrapresa con la legge 107: l’introduzione di procedure valutative e premiali basterebbe di per sé a colmare alcune note lacune del nostro sistema, mentre il piano straordinario di assunzioni - a prescindere da come è stato concepito e realizzato - sarebbe la risposta efficace e giusta per rimediare al fatto di essere il paese dell’OCSE con la più alta percentuale di insegnanti over 50.
Non volendo cadere anche noi nel vizio molto diffuso di appoggiarsi ai dati solo per darsi ragione, chiudiamo la nota con l'invito a utilizzare questa indagine, come le altre che periodicamente ci vengono offerte, prendendo i dati per quello che sono: una fotografia che ha bisogno di un racconto. Ma questo (e poi la morale che il racconto può suggerire) può avvenire soltanto con un grande e ininterrotto dialogo fra chi la scuola la osserva e chi la scuola la fa.