lunedì 8 dicembre 2014

Dieci anni di prove Invalsi: tra bilancio e prospettive.

Il 4 e il 5 dicembre, all’auditorium Antonianum di Roma, l’Invalsi ha celebrato “Il Decennale delle Prove Invalsi” con una conferenza aperta alla partecipazione dei rappresentanti della scuola, della ricerca, dell’università, della politica, delle associazioni. Un bilancio, ma nello stesso tempo un’occasione per delineare linee di orientamento e di prospettiva. Al centro dell’attenzione l’impatto che hanno avuto sul sistema le rilevazioni degli apprendimenti, inizialmente campionarie e funzionali all’esigenza di misurare la qualità prodotta dalla scuola, successivamente censuarie e attente a fornire a tutte le scuole dati di misurazione utili alla riflessione professionale in contesti di innovazione delle pratiche didattiche (processi) per il miglioramento degli apprendimenti (risultati).
La discussione ha evidenziato luci e ombre di un’esperienza che ha generato in questi anni reazioni diverse nelle scuole, in termini di adesione e di resistenza. Se le scuole “aderenti” vivono le prove e gli esiti restituiti dall’Invalsi come una risorsa per fare il punto della situazione degli apprendimenti degli alunni, come un’opportunità per rivedere pratiche professionale e per pianificare azioni di miglioramento successive, le scuole “resistenti” le percepiscono per lo più come un elemento estraneo alla pratica didattica e valutativa quotidiana, un rischio rispetto alle conseguenze che possono scaturire da una performance rilevata come negativa e rispetto all’uso che l’Amministrazione possa fare dei dati forniti dall’Istituto (formulare classifiche di merito? Dare premi alle scuole con punteggi alti? Punire quelle con punteggi bassi? Orientare le famiglie a scegliere le scuole che occupano posizioni alte nella classifica?)
Le "luci" che hanno illuminato il percorso dell’Istituto in questi anni riguardano sicuramente la possibilità di fornire dati di misurazione sempre più raffinati (dai dati sulla scuola e sulla classe, ai dati sul singolo item e sui processi cognitivi coinvolti) e al netto delle variabili assegnate, consentendo così il confronto, in termini di valore aggiunto, tra istituzioni scolastiche con lo stesso background socio - economico e culturale. Le iniziative nazionali hanno inoltre consentito, sia pure ad un numero ristretto di scuole, di sperimentare le rilevazioni degli apprendimenti come momento essenziale del processo di autoanalisi per il miglioramento e di percepire l’Istituto stesso come risorsa a sostegno dei percorsi di ricerca (PQM, ValeS, VM). Gli aspetti considerati alimentano la dimensione euristica e pedagogica della rilevazione, tesa a fornire elementi utili alla riflessione didattica degli insegnanti e all’autoanalisi di scuola. Inoltre, rafforzano la percezione dell’Istituto come ente di ricerca, a supporto delle stesse autonomie scolastiche, e non solo come strumento nelle mani di un’Amministrazione non sempre chiara nelle intenzioni.
Le "ombre" riguardano senza dubbio le scelte dell’Amministrazione, che fin qui non hanno certo sostenuto l’attività di ricerca dell’Istituto nella sua valenza orientativa e formativa, con iniziative finalizzate alla crescita di una cultura della valutazione per il miglioramento, con azioni di affiancamento delle istituzioni scolastiche in difficoltà, con interventi perequativi di supporto e con iniziative di formazione diffuse mirate.
Al contrario, alcune scelte hanno spostato l’incidenza delle prove sulleperformances di apprendimento, piuttosto che sui processi virtuosi di riflessione - innovazione-miglioramento, vanificando la valenza orientativa e formativa delle rilevazioni Invalsi. Tra queste, la scelta di inserire la prova nazionale all’interno dell’esame di licenza media e di attribuirle un peso nella valutazione finale e la scelta - imminente secondo quanto prospettato dagli addetti ai lavori (MIUR) - di introdurre la prova nazionale anche a conclusione del secondo ciclo di istruzione, nell’ambito dell’esame di Stato.
Nulla da dire se l’amministrazione commissiona all’Invalsi la rilevazione degli apprendimenti al termine del primo e del secondo ciclo, quei dati sono importanti, anche per orientare le scelte di politica scolastica future. Tuttavia sappiamo che i dati restituiti dall’Invalsi sono mere misurazioni quantitative, e che per essere significative in termini qualitativi necessitano di una lettura attenta, di un’interpretazione oculata e di valutazione più ampia, alla luce dei contesti di apprendimento promossi, degli interventi e delle azioni di miglioramento realizzate, dei progressi incrementali individuali registrati dagli insegnanti.

Da qui una domanda, alla quale andrebbero date risposte convincenti prima di compiere scelte da ponderare con molta attenzione: quali ragioni pedagogico - didattiche o docimologiche giustificano il peso delle “misurazioni” restituite dall’Istituto nella valutazione finale della prova d’esame?